Santa Caterina e Roma

Ogni 28 novembre i cateriniani, specialmente quelli romani, ricordano il giorno del 1378 in cui S. Caterina arrivò a Roma, chiamata da Urbano VI. In quel drammatico momento che la Chiesa stava vivendo, investita ormai da uno scisma- a seguito della elezione dell'antipapa Clemente VII – il Papa voleva circondarsi di "veri servi di Dio".

Quale legame unisce S. Caterina a Roma ? La Santa sicuramente non ha un interesse "estetico" o "storico" per la città: non le stanno a cuore più di tanto le sue bellezze artistiche ( "il trionfo delle mura e degli archi" ) – che sopravvivono dentro un crescente degrado urbanistico -, forse neanche di quelle delle chiese ; e non la attira la sua storia gloriosa. Non si cura - mentre va pellegrina ogni giorno in S. Pietro - dei suoi palazzi, dei suoi rioni, delle sue strade, delle sue torri, dei tanti fortilizi che crescono a vista d'occhio per contrapporsi l'un l'altro. Del resto, Roma – come ricorda la Cavallini – non è un nome che ricorre frequentemente negli scritti della Santa. Caterina però ha sempre viva Roma nel suo spirito, la ama: perché ciò che le preme è l'anima profonda della città, la sua immagine, la sua funzione interiore e religiosa, pur se ridotte in quel momento assai in basso, la sua valenza tutta spirituale ed ecclesiale; e le sta profondamente a cuore la comunità dei credenti, la loro salvezza. Roma, per Caterina, è la città del Papa, "il luogo vostro" – come aveva scritto a Gregorio Xi per spingerlo a tornare nella legittima sede papale –, "il luogo delli gloriosi Pietro e Paolo" , pur se disertato dai successori del Capo degli Apostoli da oltre 70 anni . E' il "cellaio del giardino della Santa Chiesa", da cui il Papa – che ne "tiene le chiavi", essendone "il ministratore e il cellario" – distribuisce l'opera della salvezza della Chiesa stessa, "tenendo e ministrando la Verità e il Sangue, il Pane e il Vino della Vita, la Parola e i Sacramenti", "dando il cibo come viatico ai pellegrini stanchi, perché non vengano mai meno nella via" e "passino il fiume di questa tenebrosa vita e non annieghino" ( L. 270 ). Roma non è dunque un possedimento temporale, una eredità umana che torni conto tenere in potere: la sua ricchezza - che è il tesoro della Chiesa – è il sangue di Cristo" dato in prezzo per l'anima " (L.209 ), "dal quale siamo stati ricomperati sì da non potersi più vendere"; sono le anime da governare, "le pecore del gregge di Cristo" "per le quali egli perse la vita" ( L.218 ). Roma è la sede propria di un potere spirituale le cui pietre sono murate, le cui mura sono fondate e costruite con il sangue ( quel sangue che tutto bolle – L.329 - ) del martirio di Pietro – che è la prima pietra – e di Paolo – che è la pietra dottrinale - : un potere affidato per questo al Vescovo di Roma per governare la Chiesa, come "madre e maestra delle genti", attraverso la diffusione del messaggio evangelico. Roma è "il principato della nostra fede" ( L.362 ), essendo il luogo proprio del Vicario di Cristo, "dove l'ha rimesso Pietro dolce, principe degli Apostoli" ( L.351 ), il luogo che consacra la successione apostolica, per cui Cristo è romano. ( "Qui sarai tu poco tempo silvano/ e sarai meco sanza fine cive/ di quella Roma onde Cristo è romano – Purgatorio XXXII,102 - ), abitante cioè di quella Roma che è prefigurazione di quella celeste. Quando pensa a Roma, prima di arrivarci, Caterina aspira a venirci – come scrive a Raimondo da Capua dopo il tumulto fiorentino ( L. 295 ) – per "gustare il sangue dei martiri ", sul quale essi "fondavano le mura della Santa Chiesa" , e per "visitare la sua santità e ritrovarmi con voi a narrare gli ammirabili misteri che Dio ha operato in questo tempo, con allegrezza di mente e con giocondità di cuore, con accresciuta speranza e col lume della santissima fede". E Roma significa per Caterina il luogo da cui avviare un percorso di riforme profonde che restituiscano la Sposa di Cristo ( così "impallidita, toltogli il colore, perché gli è succhiato il sangue da dosso, cioè il Sangue di Cristo - L. 16 - ) alla sua purezza evangelica, alla sua santità, alla fondamentalità della sua missione apostolica: rifondando la sua struttura istituzionale nel Corpo Mistico; mettendo ordine nel corpo ecclesiale, pieno di "fiori putridi", di "mali pastori pieni di immondizia e di cupidità"; coltivando "fiori odoriferi", "uomini virtuosi timorati di Dio". E allora, con "ansietato e affocato desiderio" la Santa invoca che "sopra la faccia di questa dolce Sposa" sia spremuto il suo cuore e che sia consumato per essa "il suo sangue e la sua vita", "distillando le midolla dell'ossa". E chiede ai suoi discepoli che, di questa Chiesa, essi "diventino le vere colonne". E a Roma, mentre serve la causa della Chiesa, Caterina opera instancabilmente sul piano della carità concreta, vicina ai romani, per i quali ha offerto la sua vita a sconto dei peccati di tanti di loro: accanto ai poveri e ai diseredati, ma anche ai potenti della città, guidata dal suo intelligente intuito politico. Affinchè tutti trovino la pace e la salvezza.